Pubblicato il
08 settembre 2025
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Negli ultimi anni i problemi di salute mentale tra i giovani hanno assunto una crescente rilevanza, con un numero sempre maggiore di ragazzi che riportano alti livelli di ansia, depressione e pensieri suicidari. Aumentano inoltre i casi in cui i giovani dichiarano di aver ricevuto una diagnosi di disturbo mentale, compreso il disturbo da deficit di attenzione/iperattività (ADHD), e di essersi rivolti a trattamenti specifici.
È noto che la transizione dall’adolescenza all’età adulta è una fase particolarmente delicata, in cui i disturbi mentali possono emergere, aggravarsi o ripresentarsi. E sebbene gli anni dell’università siano da sempre un tempo di emancipazione, esperienze nuove e crescita personale, per molti studenti e studentesse questo periodo coincide anche con l’esplosione di fragilità psicologiche latenti: ansia, depressione, abuso di alcol e sostanze. L’ingresso all’università non è sempre pacifico ma spesso diventa un’esperienza stressante, in un momento cruciale per la costruzione dell’identità personale, delle relazioni affettive, dell’autonomia dai genitori e dello sviluppo di competenze sociali e professionali.
La ricerca scientifica più recente mostra quanto il fenomeno sia ampio, intrecciato e ancora, purtroppo, sottovalutato. Tre recenti studi internazionali, condotti su decine di migliaia di giovani, permettono di guardare al problema da prospettive complementari: il peso delle avversità infantili, la complessità della comorbilità, e l’efficacia degli interventi digitali.
La salute mentale degli universitari non è una questione marginale, ma un vero e proprio banco di prova per le società contemporanee. Servono strategie integrate che vanno dalla prevenzione precoce delle avversità infantili, allo screening sistematico all’ingresso negli atenei, alla diffusione di strumenti digitali accessibili, fino a programmi di alfabetizzazione che riducono stigma e normalizzano la richiesta di aiuto.
Vediamo in dettaglio di cosa parlano questi tre studi già segnalati nella sezione dedicata alla ricerca internazionale del sito web healthmodeon.it
Ansia, depressione, disturbi bipolari, dipendenze da alcol e droghe. Sempre più ricerche mostrano le relazioni che questi problemi di salute mentale hanno con esperienze che abbiamo avuto nell’infanzia. Un nuovo studio internazionale ci dice che sei studenti su dieci arrivano all’università dopo aver vissuto almeno un’esperienza di avversità infantile, come abusi, trascuratezza o gravi disfunzioni familiari.
Il concetto di “avversità infantile” nasce dagli studi sulle Adverse Childhood Experiences (ACE), avviati alla fine degli anni ’90, che hanno documentato come traumi e violenze vissute da bambini possano influenzare la salute lungo tutto l’arco della vita.
A dare una svolta agli studi più recenti sugli studenti universitari è stata l’iniziativa WMH-ICS (World Mental Health–International College Student), che ha sviluppato un protocollo standard di indagine su scala internazionale. Il primo grande studio condotto su matricole di 9 Paesi aveva già mostrato che chi aveva vissuto almeno una di queste esperienze aveva un rischio molto più alto di sviluppare disturbi mentali.
Il nuovo lavoro coordinato da M. Husky e colleghi (2025) riparte da quel protocollo e lo amplia notevolmente: ha coinvolto oltre 60 mila studenti di 77 università in 18 Paesi, coprendo contesti economici e culturali molto diversi. L’indagine ha incluso un ventaglio più ampio di disturbi definiti dal DSM-5 — dalla depressione all’ansia, dal panico al PTSD, fino a dipendenze e ADHD — e ha analizzato insieme non solo il tipo di avversità, ma anche il loro numero e la frequenza con cui sono state vissute.
I risultati parlano chiaro. Il 50% degli studenti ha vissuto situazioni di disfunzione familiare (genitori con problemi di salute mentale o dipendenze, violenza domestica, incarcerazione), il 42% abusi emotivi, il 21% abusi fisici, il 19% trascuratezza e il 5% abusi sessuali. Non solo: un terzo circa degli studenti ha sperimentato più forme di avversità contemporaneamente, con effetti cumulativi sul rischio di sviluppare disturbi mentali.
L’analisi statistica mostra che tipo, numero e frequenza di queste esperienze sono significativamente associati a quasi tutti i disturbi esaminati. Tuttavia, l’effetto è più forte sul rischio di insorgenza piuttosto che sulla cronicizzazione: una volta che il disturbo è comparso, altri fattori — come la gravità, la presenza di più diagnosi o la mancanza di supporto sociale — sembrano incidere di più sulla sua persistenza.
Un dato colpisce più di tutti. Fino al 57% dei casi di disturbo bipolare, il 49% delle dipendenze da droghe, il 43% dei casi di ansia generalizzata e il 39% della depressione possono essere attribuiti a traumi e avversità vissuti da bambini. Anche l’abuso di alcol, pur meno collegato, mostra una quota significativa (13,5%). In altre parole, se fosse possibile prevenire o attenuare l’impatto di queste esperienze, quasi la metà dei disturbi mentali tra gli studenti universitari potrebbe essere evitata.
Per i ricercatori, le implicazioni sono logiche e conseguenziali: serve un impegno politico e istituzionale forte per prevenire le avversità infantili e ridurne le conseguenze. Ciò significa investire in prevenzione primaria (ridurre la violenza sui minori, sostenere le famiglie vulnerabili), prevenzione secondaria (screening degli studenti all’ingresso all’università) e soprattutto garantire un accesso reale a servizi di salute mentale efficaci e basati sulle evidenze.
La letteratura scientifica ha già indagato i sintomi depressivi e ansiosi negli studenti universitari; tuttavia, tali studi non si sono basati sulle classificazioni diagnostiche del DSM-5, né hanno approfondito le associazioni temporali delle comorbilità. Con questa espressione si intende la sequenza e l’interazione nel tempo tra diversi disturbi mentali: ad esempio, se l’ansia precede la depressione, se i due disturbi compaiono simultaneamente, oppure se la presenza di un disturbo aumenta, in un secondo momento, la probabilità che ne insorga un altro. Comprendere questi nessi temporali è cruciale per sviluppare strategie di prevenzione e di intervento mirate, in particolare nel contesto universitario.
Anche in questo caso l’iniziativa di riferimento rimane il World Mental Health International College Student (WMH-ICS), al cui interno, lo studio condotto su circa 72 mila studenti, ha fotografato il fenomeno della comorbilità: quasi il 40% di chi ha un disturbo mentale ne presenta più di uno. Ansia, depressione e stress post-traumatico tendono a manifestarsi insieme, mentre l’ADHD emerge come un “disturbo sentinella”, fortemente associato all’insorgenza di altri problemi.
Gli autori sottolineano come le diagnosi tradizionali, prese singolarmente, non bastino a spiegare la complessità dei vissuti. Da qui l’invito a pensare in chiave transdiagnostica, sviluppando percorsi di cura e prevenzione che guardino ai processi comuni (stress, disregolazione emotiva, vulnerabilità cognitive) piuttosto che a etichette isolate.
Non solo criticità, ma anche innovazione. All’Università di Verona è stato sperimentato Doing What Matters in Times of Stress, un manuale digitale di auto-aiuto sviluppato dall’OMS. Cinque sessioni illustrate, semplici e accessibili, guidano gli studenti a radicarsi nel presente, distinguere pensieri e valori, coltivare gentilezza verso se stessi. La base scientifica è l’Acceptance and Commitment Therapy (ACT), un approccio che non punta a scacciare ansie o pensieri negativi, ma a imparare a conviverci, scegliendo azioni coerenti con ciò che conta davvero per ciascuno.
I risultati parlano chiaro: ansia, depressione e disagio psicologico si riducono in modo significativo, mentre cresce il senso di benessere generale. E soprattutto la soddisfazione è altissima: oltre il 90% degli studenti ha giudicato l’esperienza utile e facile da seguire. Un modello che, grazie alla sua natura digitale, può essere replicato su larga scala, arrivando anche dove i servizi psicologici tradizionali faticano a entrare.
Progetto selezionato nell'ambito dei due avvisi PRO-BEN 1 e PRO-BEN 2 del Ministero dell'Università e della Ricerca (MUR) per la concessione di finanziamenti volti alla promozione del benessere psicofisico e al contrasto del disagio psicologico ed emotivo tra gli studenti.