Pubblicato il
11 luglio 2025
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Nel corso degli anni, l’attenzione nei confronti dei problemi di salute mentale è andata aumentando. Sebbene questi disturbi interessino trasversalmente l’intera popolazione, alcuni gruppi sembrano esserne colpiti in misura particolarmente rilevante. La letteratura ha evidenziato in particolare le criticità legate alla salute mentale degli studenti e delle studentesse di dottorato, il livello più avanzato della formazione accademica, accessibile dopo la laurea e finalizzato allo sviluppo di competenze autonome nella ricerca.
Come già accennato, secondo le ricerche più recenti, la prevalenza di problemi di salute mentale negli studenti di dottorato è particolarmente elevata, nonostante la soddisfazione per il percorso di ricerca. Una survey svolta su 6.300 dottorandi provenienti da istituzioni di tutto il mondo e pubblicata su Nature ha evidenziato infatti che, nonostante il 71% degli intervistati si ritenesse soddisfatto del proprio percorso accademico, il 36% manifestava sintomi di ansia e depressione.
Un quadro ancora più completo è fornito dalla revisione sistematica pubblicata da Hazell e collaboratori nel 2020.
Gli autori hanno analizzato 52 articoli, combinando dati quantitativi e qualitativi, per rispondere a domande fondamentali sulla prevalenza dei problemi di salute mentale tra dottorandi e dottorande.
Gli autori hanno osservato che i livelli di stress percepito tra i dottorandi, valutati attraverso la Perceived Stress Scale (PSS), risultano significativamente superiori rispetto alla popolazione generale. Dal momento che la PSS misura il grado in cui gli individui valutano le situazioni della loro vita come imprevedibili, incontrollabili o sovraccaricati, questi dati riflettono uno squilibrio tra le richieste ambientali (come il carico di lavoro, le scadenze e le pressioni accademiche) e le risorse personali disponibili (come il tempo, le capacità di coping e il supporto sociale). Un risultato interessante, emerso dall’analisi, riguarda l’assenza di correlazione tra il progresso accademico e il livello di stress.
Dalla revisione è emerso che i dottorandi presentano una maggiore vulnerabilità a disturbi psichiatrici. In particolare, in base ad alcuni degli studi inclusi, il 32% dei dottorandi è affetto da un disturbo psichiatrico comune, mentre il 54% raggiungerebbe i criteri per una diagnosi di depressione e il 42% per un disturbo d’ansia. Il confronto con la popolazione generale, altri lavoratori e studenti universitari indica che i dottorandi sperimentano livelli più elevati di disagio psicologico—anche quando non clinicamente rilevante—e presentano più frequentemente criteri compatibili con una diagnosi psichiatrica.
Come abbiamo visto, i dati sottolineano una maggior incidenza dei problemi di salute mentale tra i dottorandi. Uno studio condotto da Katia Levecque, ricercatrice dell’Università di Gent, su dottorandi e dottorande del Belgio cerca di fare luce sulle cause del fenomeno.
Secondo i risultati dello studio, le studentesse presentano un maggior rischio di sviluppare problemi legati alla salute mentale rispetto ai colleghi maschi, a indicare che il genere rappresenta un fattore di vulnerabilità significativo. Questa differenza può essere attribuita a una combinazione di fattori, tra cui una maggiore esposizione a stress accademico e sociale, la presenza di stereotipi di genere ancora radicati nell’ambiente accademico, e una maggiore propensione a riconoscere e riportare sintomi di disagio psicologico. Inoltre, le aspettative di performance, spesso accompagnate da una percezione di minor legittimità o riconoscimento, possono contribuire ad accentuare il carico emotivo vissuto dalle dottorande.
A fare la differenza, secondo Levecque, è in larga parte l’atteggiamento del supervisore di dottorato, figura centrale all’interno del percorso formativo. Il modo in cui questa figura interagisce con il dottorando o la dottoranda può incidere significativamente, in positivo o in negativo, sul benessere psicologico. Tra i risultati emersi dallo studio, spicca il ruolo cruciale dello stile di supervisione, che si configura lungo due approcci radicalmente opposti: da un lato, i supervisori percepiti come modelli di riferimento e fonte di supporto tendono ad avere un impatto positivo sul benessere degli studenti; dall’altro, una supervisione vissuta come distante o insufficiente risulta associata a un rischio maggiore di sviluppare problematiche di salute mentale.
Tuttavia, l’influenza del supervisore non si esaurisce nello stile relazionale o nella frequenza del supporto. Come sottolinea Levecque, entrano in gioco anche altri fattori chiave per il benessere lavorativo, come il livello di pressione percepito nel contesto accademico, il grado di autonomia nella gestione del proprio tempo e la possibilità di prendersi delle pause. Sebbene questi aspetti non dipendano esclusivamente dal supervisore, ne sono spesso influenzati, indicando che il suo ruolo agisce sia in modo diretto che indiretto sul benessere dei dottorandi.
Tra i fattori di rischio più importanti emersi dalla metanalisi di Hazell e collaboratori, c’è l’isolamento. La letteratura evidenzia quanto la solitudine possa avere effetti negativi sul benessere, sulla percezione del sé e sulla produttività. L’isolamento, nell’attività accademica, è in parte inevitabile e spesso necessario per concentrarsi pienamente sulla ricerca. Per quanto non manchino le opportunità di socializzare con i propri pari, queste relazioni sono, nella maggior parte dei casi, di scarsa qualità. Questo dato riflette l’elevato livello di competizione che caratterizza l’ambiente universitario, dove i colleghi possono essere percepiti come rivali nella corsa a risorse limitate o opportunità selettive.
Proprio per questo, l’isolamento si intreccia anche con una forma di perfezionismo autodistruttivo: molti si sentono interamente responsabili del proprio successo o fallimento e tendono a interiorizzare ogni difficoltà come prova della propria inadeguatezza. Questo alimenta un ciclo negativo in cui la paura di non essere all’altezza porta a procrastinazione, auto-colpevolizzazione e perdita di motivazione.
L’archetipo di dottorando diventa un confronto costante e penalizzante, che erode autostima e benessere. Anche le relazioni personali ne soffrono: investire in modo totalizzante sul corso di dottorato può portare a trascurare amici, partner e familiari, mentre il senso di colpa per il tempo “rubato” alla ricerca rende impossibile godersi anche i momenti di pausa. Molti arrivano a percepirsi come “parassiti”, incapaci di dare qualcosa agli altri e gravati da un costante senso di colpa per il peso che il loro percorso impone a chi li circonda.
Questa erosione dell’identità personale si accompagna a una perdita progressiva del senso di controllo della propria vita. Dalle testimonianze, il percorso di dottorato viene dipinto come una forza che mette in secondo piano la vita personale e gli affetti.
Infine, emerge la consapevolezza che non si tratta di fallimenti individuali: il problema è sistemico, come abbiamo visto dai dati. Il dottorato viene vissuto come una performance continua, dove si recita un ruolo conforme alle aspettative istituzionali, anche a costo della propria salute mentale.
Tra gli elementi che contribuiscono alla vulnerabilità dei dottorandi, non si può non citare la precarietà economica. Una borsa di dottorato garantisce una retribuzione spesso inferiore a quella garantita in posizioni con mansioni paragonabili nel contesto del settore privato o industriale. Questa condizione di svantaggio economico, unita all’incertezza sul futuro professionale, può generare un senso di instabilità e frustrazione, alimentando lo stress e contribuendo al disagio psicologico. Inoltre, in molti contesti, la borsa non copre adeguatamente i costi della vita, rendendo necessario il ricorso ad attività lavorative aggiuntive che rischiano di compromettere il tempo e le energie da dedicare alla ricerca. La mancanza di tutele, prospettive di carriera chiare e sicurezza finanziaria rende dunque la dimensione economica un fattore chiave nel determinare la vulnerabilità dei dottorandi.
Oltre ai fattori che aumentano il rischio di deterioramento della salute mentale, la ricerca ha individuato anche elementi protettivi che aiutano dottorandi e dottorande a ridurre lo stress e a prevenire l’insorgere di disturbi psicologici clinicamente rilevanti. In particolare, sulla falsariga di quanto detto in precedenza, una rete di supporto sociale è fondamentale per il benessere di dottorati e dottorandi. La revisione sistematica di Hazell e colleghi sottolinea come un cambio di narrativa del percorso di dottorato potrebbe essere benefico: il dottorato non dovrebbe più essere visto come una prova per misurare il proprio valore, quanto un processo formativo dell’individuo nella sua interezza.
Tuttavia, il rischio è che queste contromisure non permettano di affrontare la natura sistemica del problema. Questo fenomeno dipende infatti da vari fattori che non sono soltanto di natura individuale e richiedono quindi interventi istituzionali, culturali e politici. È tempo che le università assumano un ruolo attivo e consapevole nel ripensare la cultura accademica, investendo in politiche e servizi capaci di tutelare davvero il benessere psicologico dei dottorandi.
Progetto selezionato nell'ambito dei due avvisi PRO-BEN 1 e PRO-BEN 2 del Ministero dell'Università e della Ricerca (MUR) per la concessione di finanziamenti volti alla promozione del benessere psicofisico e al contrasto del disagio psicologico ed emotivo tra gli studenti.