Pubblicato il
24 ottobre 2025
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Uno studio nazionale coordinato dalla ricercatrice Cinzia Franchini, insieme alla prof.ssa Francesca Scazzina e colleghi, ha coinvolto oltre 1.400 studentesse e studenti tra i 18 e i 24 anni con l’obiettivo di identificare i fattori che influenzano l’aderenza alla Dieta Mediterranea (A Nationwide Survey of Italian University Students: Exploring the Influences of Sustainable Dietary Behaviors, Lifestyle, and Sociodemographic Factors on Adherence to the Mediterranean Diet).
Tra i principali fattori presi in esame figurano lo stile di vita, le condizioni socio-demografiche, le abitudini alimentari orientate alla sostenibilità e la frequenza con cui si consumano i pasti in contesti collettivi, come le mense universitarie.
“Promuovere una buona alimentazione in ambito universitario non è una questione estetica né un vezzo salutista — afferma la professoressa Francesca Scazzina —. È una forma concreta di tutela del diritto allo studio e del diritto alla salute. È una politica pubblica che parte dal piatto”.
Proprio in questa direzione si muovono le azioni concrete di OnFoods: Uniplate, ad esempio, è un’app gratuita sviluppata dall’Unità di Nutrizione Umana e dal Laboratorio di Intelligenza Artificiale dell’Università di Parma che accompagna gli studenti nella pianificazione dei pasti e propone ricette settimanali semplici, gustose e sostenibili.
Parallelamente, progetti come M.U.S.A. e PARCA coinvolgono attivamente gli studenti nel ripensare l’offerta delle mense universitarie, rendendola più accessibile, partecipata e in linea con i principi della sostenibilità alimentare.
Sebbene la survey non fosse finalizzata ad analizzare direttamente la relazione tra alimentazione e salute mentale, i risultati evidenziano come una maggiore aderenza alla Dieta Mediterranea si associ a comportamenti alimentari più sostenibili, uno stile di vita attivo e una maggiore autonomia nella preparazione dei pasti.
“L’alimentazione e la salute mentale non sono due ambiti separati — spiega Scazzina, coordinatrice del gruppo di lavoro che ha portato avanti lo studio —. Sappiamo che una dieta povera di nutrienti essenziali può aumentare la vulnerabilità psicologica, mentre abitudini alimentari equilibrate hanno un effetto protettivo documentato, sia sul piano fisico che cognitivo”.
Lo studio mostra che solo il 33% del campione analizzato segue con regolarità i principi della Dieta Mediterranea. Il restante 67% presenta un’aderenza bassa o media, con frequenze di consumo non ottimali di alimenti chiave come pesce, legumi, verdure, frutta secca e cereali integrali.
“Molti studenti saltano i pasti o consumano in modo ripetuto alimenti ad alta densità calorica e basso valore nutrizionale», ci dice Cinzia Franchini. “Queste abitudini, specialmente in contesti di stress, contribuiscono a creare instabilità glicemica e a una maggiore sensazione di affaticamento, con impatti sul tono dell’umore, sulla qualità del sonno e sulla capacità di concentrazione”.
Nel corso della vita universitaria, momenti di forte pressione come le sessioni d’esame possono influenzare profondamente le abitudini quotidiane, inclusa l’alimentazione. In queste fasi, molti studenti e studentesse tendono a modificare la propria dieta, aumentando il consumo di snack e dolci come risposta allo stress — un comportamento noto come emotional eating — oppure, al contrario, saltando i pasti.
“Molti studenti, sotto pressione, riferiscono un aumento del consumo di snack e dolci, spesso accompagnato da un senso di perdita di controllo. Questo tipo di comportamento è ben documentato in letteratura ed è legato a un maggior rischio di insorgenza o peggioramento di sintomi ansiosi e depressivi”.
Una dieta poco bilanciata può influenzare il tono dell’umore, la qualità del sonno e la capacità di concentrazione, innescando un circolo vizioso che rende ancora più difficile affrontare lo stress accademico. Migliorare l’accesso a cibi sani e promuovere una maggiore consapevolezza alimentare rappresentano strategie chiave per sostenere la salute psicofisica degli studenti.
I dati raccolti confermano che mangiare bene è anche una questione di contesto. "Il primo passo è riconoscere che non tutti gli studenti hanno le stesse risorse o le stesse possibilità", precisa Franchini. "Tempo, denaro, accesso a cucine attrezzate e competenze pratiche sono variabili decisive".
Una componente importante riguarda l’autonomia nella preparazione dei pasti. Gli studenti che cucinano regolarmente per sé tendono ad avere un’alimentazione più equilibrata, mentre chi non lo fa va più spesso incontro a una dieta povera e a un rischio maggiore di disagio psicologico.
“Cucinare, per molti giovani, è una competenza ancora fragile. È però anche un’occasione di cura di sé, di organizzazione del tempo e di socialità. Le università dovrebbero considerarlo come un elemento educativo, non solo logistico”.
È qui che entrano in gioco le mense universitarie: chi le frequenta regolarmente mostra livelli più alti di aderenza alla Dieta Mediterranea. Eppure, solo il 43% degli studenti dichiara di usarle almeno una volta a settimana.
“La mensa ha un potenziale educativo che spesso trascuriamo», sottolinea Franchini. “Non è solo un luogo dove si mangia, ma può diventare uno spazio di apprendimento informale. Con semplici strategie di nudging — come segnaletiche colorate, descrizioni chiare, posizionamento strategico dei piatti — possiamo orientare positivamente le scelte alimentari quotidiane senza forzature”.
Queste tecniche, già sperimentate in diversi campus internazionali, mostrano una buona efficacia nel promuovere comportamenti più sostenibili e salutari, specialmente se accompagnate da campagne informative chiare, inclusive e continuative.
Secondo Franchini, una delle sfide più urgenti è passare da un approccio prescrittivo a uno partecipativo. “Non possiamo limitarci a dire cosa sarebbe giusto mangiare. Dobbiamo partire da un ascolto attivo della comunità studentesca, migliorare l’accessibilità fisica e culturale al cibo sano e implementare strategie educative che sfruttano i canali digitali”.
A tal fine, i progetti promossi da OnFoods coniugano innovazione e partecipazione studentesca. Iniziative come Uniplate, o la M.U.S.A. Challenge dedicata al ripensamento delle mense universitarie, rappresentano risposte concrete alle sfide quotidiane dell’alimentazione in ambito accademico, contribuendo a costruire ambienti più sani, inclusivi e attenti al benessere complessivo della comunità studentesca.
L’obiettivo, conclude Franchini, non è solo nutrire, ma costruire ambienti universitari che facilitino scelte positive in modo naturale, senza stigma o eccesso di controllo. “Un’università che si prende cura della crescita della propria comunità studentesca si prende cura, in realtà, del percorso formativo nella sua interezza, includendo anche la loro nutrizione e il loro stile di vita”.
Progetto selezionato nell'ambito dei due avvisi PRO-BEN 1 e PRO-BEN 2 del Ministero dell'Università e della Ricerca (MUR) per la concessione di finanziamenti volti alla promozione del benessere psicofisico e al contrasto del disagio psicologico ed emotivo tra gli studenti.

