Approfondimento

Giovani Adulti: in scena tra precarietà e performatività

Pubblicato il

07 ottobre 2025

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L’adolescenza si è allungata e l’età adulta è diventata un traguardo sfocato. Attraverso letteratura, sociologia e antropologia, un'analisi di come i giovani di oggi stiano ridefinendo l'identità in un mondo di possibilità infinite, prospettive limitate e lavori che richiedono una performance quotidiana. Non è una crisi, ma un adattamento resiliente.

Dalle “persone normali” a quella peggiore del mondo

La produzione culturare rappresenta, inevitabilmente, uno specchio della società. Gli artisti e le artiste vivono nel loro tempo, subiscono l’influenza della società in cui si trovano inseriti e spesso riescono a restituirne alcuni tratti caratteristici. 

Negli ultimi anni, uno dei fenomeni letterari di cui si è più discusso sono i libri dell’autrice irlandese Sally Rooney. Salita alla ribalta a metà degli anni ‘10, il suo libro di maggior successo, Persone Normali, segue la storia di Connell e Marianne. Di diversa estrazione sociale-la madre di Connell fa le pulizie presso la casa di Marianne- i due navigano nel periodo che coincide con la fine delle scuole superiori passando per l’università e oltre. Si tratta di un file rouge che connette le opere di Rooney: l’esplorazione della vita di chi non è più adolescente ma si addentra in un'età adulta diversa da quella che era. 

Non è un caso isolato: anche altre opere, nel corso degli ultimi anni, hanno affrontato temi simili. Pensiamo al film di Joachim Trier La Persona Peggiore del Mondo. La trama segue la vita di Julie da quando è ancora universitaria fino ai trent’anni. La sua è in un equilibrio perennemente precario tra stabilità insoddisfacente e tentativi di revitalizzarsi che finiscono inesorabilmente in una fase di anedonia. 

Questi due esempi - ce ne sarebbero altri, pensiamo soltanto al settore musicale - sono sintomatici di un cambiamento avvenuto ormai da tempo e che nel corso degli anni si è acuito: la transizione tra giovane e adulto non è più come una volta.

Una nuova fase: i giovani adulti

La transizione da giovane ad adulto è una delle fasi più delicate della vita di ogni individuo e anche come società. Ma in passato questa transizione era non solo più rapida, ma anche anticipata. Nelle società antiche, spesso questo passaggio era segnato in maniera esplicita e dettato da regole quasi divine. Si pensi ad esempio alla tragedia Ippolito di Euripide: il figlio del re d’Atene si dedica solamente alla caccia, senza alcun interesse per la vita da adulto e quindi per l’aspetto sessuale. Per questo adira la dea della passione Afrodite che lancia su di lui una maledizione. Il rispetto dei tempi della vita era quindi sacro. Anche ne Gli Anni di Arnie Ernaux, vincitrice del Premio Nobel nel 2022, i momenti di passaggio- anche in questo caso la perdita della verginità- sono visti come un momento di non ritorno. 

Ma la società, nel frattempo, è cambiata. La transizione tra il giovane e l’adulto è più sfumata e complessa. Questo aspetto ha stimolato una vasta letteratura sul tema che ha studiato questo fenomeno sotto vari nomi: giovani adulti, adultità emergente, new adulthood. La ricerca ha raggiunto sempre un maggiore consenso su una nuova fase della vita che si interpone tra quella di giovane e quella di adulto, contraddistinta da una serie di fenomeni che hanno un interesse che va oltre quello della mera ricerca scientifica: la demografia, le politiche del lavoro, la salute mentale. 

Perché si è assistito a questa transizione e perché il fenomeno sembra esserci acuito nel corso degli anni? 

Ci sono varie spiegazioni possibili. 

Uno di questi riguarda un cambiamento sociale più esteso. L’aumento dell’aspettativa di vita a cui si è assistito nel ‘900 ha influenzato ogni settore della società con persone più adulte che vedono nella gioventù un paradiso perduto che ora, grazie a un miglior tenore di vita, possono cercare di richiamare. Questo fa sì che anche chi si trova più vicino alla soglia della gioventù subisca la stessa fascinazione. Si tratta di un fenomeno tutt’altro che scontato: come osservava nel suo Il Mondo di Ieri Stefan Zweig, nella Vienna pre-guerra era di moda cercare di somigliare ai più adulti e con una deferenza nei loro confronti. 

Un secondo motivo di fondamentale importanza riguarda i cambiamenti economici e culturali avvenuti nella seconda metà del ‘900. Durante i cosiddetti “trent’anni gloriosi”, le economie occidentali hanno conosciuto una crescita senza precedenti. Questo boom, insieme ai movimenti per l’ampliamento dell’istruzione universitaria, ha favorito una maggiore specializzazione della forza lavoro. Il processo ha prodotto due conseguenze principali.

La prima riguarda l’allungamento dei tempi di formazione rispetto alle generazioni precedenti, con giovani sempre più impegnati in percorsi accademici complessi e in un ingresso tardivo nel mondo del lavoro stabile.

La seconda conseguenza, strettamente collegata alla precedente, si può leggere attraverso le teorie del sociologo e politologo Ronald Inglehart. Con l’aumento del benessere materiale, le persone hanno progressivamente spostato la loro attenzione dai bisogni materiali verso quelli post-materiali, interessandosi a questioni di diritto, partecipazione sociale e senso dell’esistenza. Questo fenomeno si è manifestato in modo particolarmente marcato tra le generazioni più istruite, che hanno iniziato a interrogarsi sul proprio ruolo nella società e sul significato del proprio lavoro e delle proprie scelte di vita.

Le teorie di Inglehart aiutano anche a spiegare perché questo fenomeno si sia acuito negli ultimi anni. Se l’emergere dei valori post-materiali è avvenuto in un contesto di crescita economica, i cambiamenti successivi – dalla globalizzazione alla precarizzazione del mercato del lavoro – hanno intensificato la ricerca di senso e realizzazione personale. Le generazioni più giovani si trovano oggi in un contesto che limita i progetti a lungo termine, come l’acquisto di una casa, aumentando così la dipendenza economica dai genitori e rendendo più complesso il percorso verso una piena autonomia adulta.

La mancanza di stabilità e di prospettive di lungo periodo come abbiamo visto è di fondamentale importanza per questa fase. La sensazione è che il futuro non esista più come promessa di cambiamento radicale e di sistemazione, ma soltanto come lo scorrere del tempo. In questo modo, il giovane adulto vede la propria vita come un insieme di possibilità ancora da concretizzarsi. 

A questi temi vanno aggiunti cambiamenti tecnologici e organizzativi. La diversificazione dei mezzi di informazione e fruizione della cultura hanno portato a una frammentazione dei gusti e dei valori. In un tale contesto, le possibilità di chi essere e che cosa fare della propria vita aumentano considerevolmente. L’imitazione è una componente fondamentale del comportamento umano. Essendo oggi esposti a una maggior varietà di stili di vita e di gusti, le possibili traiettorie che determinano la vita di un individuo si ampliano. Anche la diversificazione dell’organizzazione del lavoro ha un impatto, andando a esacerbare l’utilizzo dei social media ad esempio. Se in precedenza i ritmi del lavoro di fabbrica permettevano una maggior omogeneità e socializzazione, l’eterogeneità sia spaziale sia temporale ha fatto sì che la socialità venisse intaccata, con i giovani che presentano un ridotto circolo sociale.  

Tutti questi elementi hanno come tratto distintivo una maggior instabilità che si interseca con l’aumento delle possibili traiettorie che possono essere seguite dall’individuo, in assenza però di chiari punti di riferimento che diano un senso di pienezza tipico dell’età adulta. Ciò è confermato da analisi statistiche che evidenziano come i giovani adulti non si sentono pienamente adulti proprio perché in mancanza di passaggi fondamentali definitivi. I partecipanti allo studio notavano la dissonanza tra l’avere ad esempio un lavoro come insegnante ma allo stesso tempo vivere con i genitori. 

L’impatto dell'istruzione universitaria (e il caso del nostro paese)

Come abbiamo spiegato in precedenza, la maggior specializzazione richiesta dalle economie occidentali gioca un ruolo fondamentale nell’emergere della categoria dei giovani adulti. Allungando infatti il percorso di formazione, si posticipa anche l’entrata in una fase in cui si è economicamente indipendenti rispetto ai genitori, raggiungendo quindi uno dei traguardi più importanti per l’ingresso nella vita adulta. 

Ma questo non è l’unico aspetto in cui la formazione superiore impatta sui giovani adulti. Sappiamo che nel corso degli decenni abbiamo assistito a una democratizzazione dell'accesso alla formazione universitaria. Sempre più persone, anche provenienti da famiglie della classe media e lavoratrice, hanno potuto iscriversi all’università. Ma sarebbe superficiale non cogliere l'eterogeneità in questo fenomeno

Infatti per quanto questa transizione abbia permesso un aumento del numero di persone che perseguono un percorso di studi superiore, allo stesso tempo molti concludono il loro ciclo di studi dopo il diploma, immettendosi nel mercato del lavoro. 

Qui entrano in gioco delle dinamiche estremamente delicate. Infatti, mentre chi persegue un’istruzione superiore è spesso dipendente economicamente dai genitori, i loro pari che sono entrati invece nel mercato del lavoro hanno già acquisito una certa stabilità economica, al netto dei problemi affrontati dai giovani nel mercato del lavoro. Questa tensione è particolarmente importante perché, come dicevamo poc'anzi, espone i giovani adulti a differenti carriere in un periodo di estrema fluidità e incertezza. Si instaura quindi una tensione tra la necessità di perseguire i propri obiettivi in un orizzonte temporale più lungo come quello dell’università e dall’altra l'esposizione a modelli che invece hanno tagliato il traguardo dell’indipendenza economica prima. Questo, sia chiaro, può avvenire anche in senso contrario. 

Ovviamente, questa tensione nasce in particolare per chi viene da contesti meno incentivanti nei confronti della formazione superiore e per le persone che hanno un background di classe media lavoratrice. Il peso che comportano sulle proprie famiglie e le preoccupazioni economiche giocano un ruolo nella salute mentale e nella performance universitaria di queste persone. 

Il problema si pone poi su quelli alla soglia dell’età adulta. Siamo consapevoli di quanto sia importante, soprattutto con il passare del tempo, una formazione universitaria in un mondo come quello di oggi. Quando i giovani, finite le superiori, si affacciano sulla scelta se continuare o meno con un percorso universitario, la dicotomia può diventare particolarmente importante. Osservando il proprio circolo sociale, infatti, le persone si troverebbero davanti a due tipi di persone: da una parte coloro che hanno continuato all’università e che quindi non hanno ancora rescisso il cordone ombelicale con la propria famiglia; dall’altra invece chi è inserito fin da subito in un contesto lavorativo che gode di una certa autonomia economica. Soprattutto in zone in cui i costi associati a un’istruzione superiore sono ingenti, questo potrebbe spingere le persone verso una riduzione degli investimenti nel proprio capitale umano. 

Nonostante il sistema di borse di studio e di alloggi universitari sia già oggi presente nel nostro paese, abbassare i costi legati al perseguimento di una laurea gioca un ruolo fondamentale per aumentare il numero di persone che frequentano l’università, un problema particolarmente sentito nel nostro paese. Questo si interseca poi, ancora una volta, con la questione delle tempistiche. La teoria economica ha evidenziato che tra i motivi per cui un individuo dovrebbe investire sulla sua formazione c’è il cosiddetto wage premium. Si tratta di qual è il guadagno in termini monetari di una maggior istruzione. In un paese come il nostro, questo premio per lo studio è sensibilmente più basso rispetto alla media europea, come sottolinea la Corte dei Conti. Anche quanto i giovani sono disposti a fare sacrifici in termini monetari, questi non sono poi ripagati dal sistema economico. 

Tra precarietà e performatività

Uno dei punti più problematici, strettamente legato all’evoluzione economica, è il concetto di performatività. Questo tema è stato recentemente indagato dal blogger Alex McCann sul suo Substack Still Wondering, proprio in riferimento alla situazione dei giovani adulti contemporanei. In un mondo caratterizzato da crescente precarietà lavorativa e da una predominanza del settore terziario, molti lavori richiedono di essere performanti come se fossero ruoli teatrali, anche quando sono privi di reale significato o impatto sociale. McCann racconta come i giovani adulti siano spesso costretti a costruire continuamente un’immagine di sé efficace, visibile e “riconoscibile”, come se il valore personale dipendesse dal modo in cui si svolge ogni compito.

Questa pressione performativa è al tempo stesso causa e conseguenza della precarietà economica ed esistenziale. L’impossibilità di progettare a lungo termine spinge a concentrare energie sulla gestione ossessiva del presente e sulla costruzione di un archetipo di persona che possa attrarre opportunità e riconoscimento. Il risultato è un paradosso: i giovani adulti sono più liberi che mai di esplorare la propria identità, ma sono anche schiacciati dalla necessità di dimostrare continuamente di utilizzare questa libertà “nel modo giusto”.

Il fenomeno assume una luce ancora più chiara se affiancato agli studi dell’antropologo David Graeber. All’inizio del decennio scorso, Graeber sostenne, in un saggio poi diventato libro, che buona parte dei lavori, soprattutto nel settore terziario, fossero inutili, contribuendo a una sensazione diffusa di vuoto e alla necessità di performare costantemente anche in ruoli privi di significato reale. Ma la situazione per i giovani di oggi è differente. 

Per i giovani adulti, entrati nel mercato del lavoro in un momento in cui la finzione aziendale è diventata evidente, questa situazione assume una valenza particolare. Pertanto percepiscono il proprio lavoro come vuoto, ma continuano a svolgerlo, costruendo parallelamente progetti di reale valore. Questo approccio genera un paradosso tipico dei giovani adulti contemporanei: il ruolo ufficiale perde significato, ma la performance quotidiana continua. Essi assumono un atteggiamento pragmatico, accettando la finzione mentre costruiscono vie di fuga creative, che consentono di conciliare sopravvivenza economica e realizzazione personale. La performance diventa un mezzo più che un fine, un modo per mantenere stabilità e sicurezza mentre si esplorano percorsi autentici.

Il rito quotidiano del lavoro evidenzia ulteriormente questa dissociazione tra ruolo e identità. McCann descrive, ad esempio, come il tragitto casa-lavoro assuma la forma di un vero e proprio rito di trasformazione: chi sale sul treno al mattino indossa abiti casual e cuffie, e arriva in ufficio con camicia e completo, assumendo posture ed espressioni “professionali neutre”. La sera avviene il processo inverso: l’individuo si libera della propria identità corporativa, tornando alla dimensione umana e personale. Questo rituale quotidiano mostra come il lavoro aziendale, pur strutturato e apparentemente solido, non riesca più a definire l’identità dei giovani adulti, che provano a trovare la loro realizzazione fuori dai compiti formali.

In questo contesto, la nuova adultità si caratterizza per la capacità di navigare tra finzione e realtà, tra obblighi performativi e autonomia creativa. I giovani adulti imparano a gestire la precarietà non solo come limitazione, ma come terreno su cui costruire identità multiple, progetti personali e percorsi di realizzazione che sfuggono alle strutture tradizionali del lavoro e della società. La performance quotidiana diventa quindi strumento di sopravvivenza e di libertà, mentre l’autenticità si coltiva negli spazi paralleli, al di fuori del ruolo ufficiale.

Questo, come hanno sottolineato altri studiosi, offre un’interpretazione più comprensiva del fenomeno dei giovani adulti. Incolpare i giovani per lo stato di performatività in cui si trovano ricade soltanto nel fenomeno del victim blaming. La realtà è invece più sfumata: davanti a trasformazioni economiche che non permettono più una vera e propria realizzazione, i giovani adulti si adattano per essere più resilienti cercando, in quella miriade di possibilità, un modo più autentico di trovare la propria strada. 

Giovani adulti: non una crisi ma una risposta

In fondo, i giovani adulti non sono il sintomo di una crisi, ma la risposta a un cambiamento epocale. Muovendosi tra precarietà e performatività, hanno imparato a trasformare l’instabilità in una forma di conoscenza di sé, a costruire identità multiple senza smarrire del tutto il filo del proprio desiderio. Questo non toglie la necessità di una discussione approfondita sulla mancanza di valori fondanti che ci legano alla società. Se i valori con cui le generazioni precedenti si sono sfaldati perché ingabbiavano l’individuo negandone l’individualità, oggi ci troviamo davanti a una fluidità considerevole. In assenza di punti di riferimento e coordinate, la vita dei giovani adulti diventa ancora più difficile, incapaci di inserire se stessi in un quadro più ampio e di comprendere come la loro situazione non sia individuale, ma sociale. 

È una generazione che abita il presente come campo di prova, non come condanna: consapevole che la solidità promessa dalle generazioni precedenti non esiste più, ma anche che proprio in questa fragilità si apre uno spazio per reinventare l’adultità stessa.

Essere giovani adulti, oggi, significa questo: non rincorrere modelli perduti, ma imparare a vivere nell’intervallo - tra chi si è e chi si prova a diventare - con una lucidità che, forse, è la forma più autentica di maturità che ci resta. È cruciale, tuttavia, che questa narrazione resiliente non oscuri il lato oscuro della performatività: l'impoverimento delle relazioni sociali e l'aumento dei disturbi legati alla salute mentale sono il prezzo spesso pagato per questo adattamento. Proprio per questo, è necessario che il tema dei giovani adulti diventi oggetto di un dibattito pubblico che rifiuti la colpevolizzazione e cerchi, collettivamente, vie d'uscita concrete da queste criticità.

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